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#Namibia, diario di viaggio, day8

Il Namib-Naukluft National Park è un deserto formatosi migliaia di anni fa. Tra le ipotesi ascoltate dalla guida c’è anche che la sabbia rossa ocra venga dal lontano Lesotho, sia stata portata dal vento fino da queste parti dove il fiume Tsauchab che arrivava al mare ha creato queste dune. Ora il fiume porta acqua solo nella stagione delle piogge, l’acqua proviene dalle montagne vicine e si ferma nel Deadvlei creando un laghetto e prosciugandosi piano piano. Sossusvlei è il nome in lingua nama di quest’ultimo effimero laghetto in cui si trovano delle acacie secche ancora in piedi.

Dune

Le prime dune, nel mezzo si viaggia in quello che era il fiume

La zona è semplicemente sbalorditiva.

Duna

Duna all’alba

 

Sopra il deadvlei, che è simile per formazione all’Etosha Pan, c’è la più grande duna del mondo: Big Daddy, al momento 325 metri ma forse anche di più. E visto che a me piace salire sui posti alti decido di salire in cima.

Big Daddy

Big Daddy in lontananza, è il punto più alto

Le dune si camminano sulla cresta dalla parte in cui soffia il vento e in cui c’è la sabbia più dura. Questo comporta che si camminano per storto con uno dei due quadricipiti che fa parecchio più fatica dell’altro e non cambia mai!

Ci sono due percorsi, uno taglia, l’altro invece fa tutta la cresta sopra al deadvlei. Decido per il secondo, ma rendendomi conto della fatica ercolana a metà della cresta mi ributto giù dalla duna e decido per la scorciatoia che taglia una parte di percorso panoramico ma in orizzontale.

footprints

Passo dopo passo

Si sale, ogni 40 passi sono costretto ad una pausa e riprendere fiato. Non è tanto il caldo ma quanto la consistenza del percorso. Sono il primo a salire e quindi a ogni passo si affonda. Ne ho salite un po’ di montagne e sono abbastanza abituato a camminare in montagna ma vi assicuro che è più facile farsi il Saslong dolomico che questi 350 m oppure il Gran Sasso o anche una tappa del giro del Monte Bianco.

footprints

E sempre passo dopo passo

La fatica è mostruosa e la cima non arriva mai. Meno male che tira una brezzolina ed essendo le 8 del mattino non fa cosi caldo. Ormai ho sabbia in tutte le scarpe e neanche le vecchie canzoni partigiane che m’hanno accompagnato nei momenti freddi di trekking aiutano il morale e tra l’altro mi sembrano decisamente fuori luogo.

Poi ad una certa faccio un passo e non affondo. Come non affondo? La sabbia è talmente dura e battuta dal vento che riesco a salire dritto con le gambe per una buona cinquantina di metri. E’ il momento del “sollievo morale”, quando la mente prima quasi incline a mollare tutto si rifà convinta dell’estrema azione. Si riparte con fatica ma con la convinzione forte ma forte di arrivare fino in cima.

Deadvlei

Deadvlei dall’alto del Big Daddy, la vedete la discesa?

E ci si arriva, naturalmente mi viene da scrivere.

E dopo che si è saliti in cima, ci si è seduti sulla cresta, si è bevuta l’acqua e si sono fatte le foto a 360° … che si fa? Si scende.

Una discesa dritta si apre davanti a me, un corridoio di sabbia fina, senza pietre nè arbusti, solo sabbia. “Dio! Il mio regno per una tavola da sandboard” grido al vento del deserto, “Dio mandami una tavola!”. Ma Dio pare non si sia svegliato cosi presto o sta facendo grossa mattinata a letto.

Discesa dal Big Daddy

Tutto per una tavola da sandboard

Mi tocca scendere a piedi immaginandomi l’emozione che avrei potuto sentire se avessi scivolato quella discesa. In basso c’è un bianco letto di lago secco, il Pan o il Deadvlei, che aspettano di essere attraversati. Mettere piede su una superficie dura è un sollievo e allo stesso tempo una stranezza, avevo decisamente dimenticato la sensazione.

Deadvlei

La sabbia dura del Deadvlei

Big Daddy t’ho avuto, mi sei piaciuto, se ci rivedremo non lo so ma se sarà non dimenticherò la tavola e sfiderò il divieto di surfarti. Intanto un segno te l’ho lasciato.

Acacie a Deadvlei

Acacie a Deadvlei

Attraverso soddisfatto tutto il Deadvlei. Le acacie in lontananza m’aspettano e sale quella soddisfazione che si ha quando si fanno le cose per la sola gloria. Mi piace salire in alto.

Nel pomeriggio si visita anche il canyon del Sesriem. E’ un piccolo canyon secco in questo periodo dell’anno della lunghezza di 1 km. Il suo nome viene dal fatto che per arrivare all’acqua lo scopritore utilizzò sei cinghie di pelle di Orix per fare una corda. In una pozzanghera ancora presente della grandezza di un paio di m² ci sono almeno una decina di piccoli pesci gatto ancora in vita che aspettano le piogge.

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