Lamu è il villaggio, Shela è la spiaggia e Manda è il jet-set.
Questi 3 posti situati a pochi km tra loro e divisi in parte da acqua e in parte da terra sono meta di vacanze per kenyani e stranieri.
I kenyani ci tornano dalle città e si mettono il velo, gli stranieri ci vengono dalle città e si mettono in costume da bagno, salvo poi coprirsi quando attraversano il paese.
Non ci sono macchine, i mezzi di locomozione sono asini, barche e gambe con i primi che lasciano segni per ogni dove che consiglio di scansare.
Dicevo, Lamu è il villaggio e il porto, non ci si va per la spiaggia perchè non c’è. All’interno della baia e una miniatura di Stone Town a Zanzibar o Mombasa più a sud ma con il fascino particolare del piccolo centro con strette stradine, negozietti, odori nauseanti e spezie, uomini e donne che si portano rilassati dopo la calura del primo pomeriggio.
Donne, velate o addirittura “burqate”, abiti lunghi e quasi larghi, dico quasi, perchè alcune non che siano attillate ma si intravedono forme. Sguardi veloci di occhi truccati incuriosiscono e svegliano l’immaginazione, piedi e mani dipinti da hennè “soddisfano” il desiderio di vedere, ma sarebbe più corretto dire intravedere, di più.
Tutto ciò fa a botte a Shela, la spiaggia di Lamu, distante 3 km sulla stessa isola. L’alcool è monopolio del bar ristorante Peponi, di proprietà danese di dubbio gusto, dove bazzicano i protagonisti della vita festaiola di Shela: i beach boys.
A Shela gli stranieri che vengono qua soggiornano in belle case in complessi residenziali fusi con la natura, o in strane case, all’interno del villaggio, sviluppatesi in altezza con terrazzi ventilati in perfetto stile arabo swahili.
Corsi di yoga la mattina e corsi di vela il pomeriggio, spiaggia e settimana enigmistica nel mezzo o un bel libro di Dan Winslow, aperitivo di Old Pall, cocktail della casa Peponi al tramonto oppure crociera in dhow e cosi passano le giornate.
A meno che non si vada a Manda e non si conosca il jet set kenyano straniero. Manda è l’isola davanti a Shela dove i “Residents” hanno casa. I Residents, come li chiamo io, sono stranieri che vivono da anni e sono anche nati in Kenya o stranieri che ormai vengono qua periodicamente. Leggete stranieri capite italiani. Tanti, ma tanti che davvero pensi che il Kenya sia stato colonizzato dagli italiani piuttosto che dagli inglesi.
C’è di tutto, professionisti e umanitari, diplomatici e annoiati, turisti e amici di Residents, sposi e spose e invitati vari, bagnanti, azionisti, architetti, designer, kite surfer, occasionali velisti e schiene bruciate.
E poi ci sono loro: i beach boys. Personaggi locali che vivono sulla lama del rasoio tra tradizione mussulmana e potenziale ricchezza turistica. Personaggi sempre allegri, sempre pronti a chiacchierare e a offrire qualunque cosa potresti necessitare. Sulla lama del rasoio perchè tra il capo villaggio mussulmano e il padrone di Peponi si devono guardare le spalle e devono controllare il loro consumo di alcool.
Peponi monopolizza e boicotta eventuali nuovi bar e venditori di alcolici in combutta con il capo villaggio che tollera trasparenze vizi e nudità chissà in cambio di cosa. Ma non tante nudità visto che camminare in costume da bagno nel villaggio provoca sguardi diffidenti e occhiatacce.
Un contrasto forte e presente che affascina e che fa pensare, pone domande e non dà risposte fisse.